Skip to content

Qui di seguito  un mio intervento su L’Eco di Bergamo a proposito della sanità e del necessario cambio di visione in Regione Lombardia.

Ho letto con molto interesse l’intervento di Daniele Rocchetti, Presidente delle ACLI di Bergamo, che parte dall’attenta analisi della crisi del nostro sistema sanitario regionale per lanciare un appello di respiro ben più ampio rivolto alla classe politica, ovvero quello di riconsiderare la prospettiva che guida il suo agire.

Se i valori del cattolicesimo – oggi troppo spesso richiamati strumentalmente – non sono (più) in grado, almeno da soli, di garantire consenso, è altrettanto vero che quei valori sono ancora oggi più preziosi e fondamentali perché ispirano uno stile del fare politica, ovvero quello del prendersi cura del prossimo, mettendosi a servizio della propria comunità con passione, umiltà ed onestà.

Dobbiamo recuperare questa dimensione dell’impegno politico, con la consapevolezza soprattutto da parte di chi, come me e tanti amici e compagni di viaggio, fanno politica tutti i giorni, delle responsabilità annesse. Responsabilità che non si esauriscono al “qui ed ora” ma devono farsi carico soprattutto delle persone più fragili e delle future generazioni con una prospettiva non solo di “emergenza” ma di medio-lungo termine.

La politica regionale negli ultimi anni ha impostato le proprie scelte in modo opposto a quello in cui personalmente credo.

In particolare, ha spinto su un modello individualistico incentrato verso la “libera scelta” che prescinde dal senso di appartenenza alla comunità che la politica ha invece il compito di costruire.

Il modello impostato sulla dote/voucher da poter utilizzare in autonomia per soddisfare un proprio bisogno, se non accompagnata da un’offerta dei servizi costruita “dal basso” dove è l’istituzione pubblica (e quindi la politica) che “promuove e guida” la rete territoriale con tutti i corpi intermedi della propria comunità (comuni, cooperative, associazioni di volontariato, fondazioni, rappresentanze delle imprese e dei lavoratori, parrocchie, scuole, personale sanitario, medici, etc.), genera una solitudine ed un disorientamento nel cittadino, in particolare di chi è più fragile, di chi ha meno accesso al sistema dell’informazione/comunicazione, di chi ha meno reddito.

Come invertire la rotta? Con un cambio di approccio, di visione, di impostazione che sicuramente richiederà tempo. Perché significa rimettere al centro i territori ri-attivando le energie che ci sono ma che oggi non sono state messe in rete, messe a sistema. Bisogna ri-creare un “welfare di comunità”.

Abbiamo bisogno di una politica che torni a parlare di prevenzione, di cura, di prossimità, di solidarietà. Nel rispetto certamente della individualità, ma con un’attenzione collettiva alla dimensione sociale. Dobbiamo rimettere al centro la comunità e quindi la giustizia sociale.

Prendersi cura significa prima di tutto essere prossimi e questo, noi Sindaci, l’abbiamo ben compreso nei mesi peggiori della pandemia, quando servivano cure e ossigeno, ma anche ascolto, presenza, sostegno.

In un Comune la prossimità è un atto naturale e spontaneo tanto più la sua comunità è coesa e in rete con le istituzioni. Perché le distanze si accorciano fino ad annullarsi, dando forma e sostanza ad una fratellanza che prende per mano gli ultimi e protegge i fragili.

Su scala regionale il modello dei Comuni o – meglio ancora – degli ambiti di Comuni, è replicabile ridando a Regione quel ruolo di pianificazione e programmazione che oggi non ricopre.

In campo sanitario deve essere l’ente pubblico ad effettuare la programmazione sanitaria in base alle esigenze di salute dei cittadini ed è necessario riscrivere le “regole del gioco” per riequilibrare il rapporto tra l’offerta pubblica e quella privata, la prima fortemente danneggiata in questi anni.

E’ necessario ridare dignità (rimettendosi in ascolto, creando alleanze e non conflitti) ai medici di base, ai pediatri, agli specialisti, agli operatori sanitari, ai farmacisti, sottoscrivendo un “nuovo Patto della Salute” per ripristinare la medicina territoriale, per riempire di persone e contenuto le Case delle Comunità, per garantire l’assistenza sanitaria in tutta la provincia, soprattutto nelle zone più periferiche oggi scoperte, per ridurre le liste di attesa, per semplificare e sburocratizzare i processi.

Parimenti, il progressivo invecchiamento della popolazione ci impone una revisione del modello di assistenza e cura degli anziani: le RSA, strette tra aumenti di costi per la gestione della pandemia e il caro bollette, stanno mostrando una difficoltà economica che si scarica inevitabilmente sulle famiglie e sui Comuni (con gli aumenti delle rette), mentre le ‘strutture cuscinetto intermedie’ come i condomini solidali o gli alloggi protetti (housing sociale) fanno fatica a ‘decollare’ nel nostro Paese (almeno finché qualche privato – se il pubblico non guidasse questo processo necessario – non li riterrà investimenti interessanti e si tufferà in questo nuovo ‘mercato’). Per non parlare dalla preoccupante denatalità che richiede investimenti forti e significativi sostenendo le famiglie con servizi di qualità e accessibili a tutti, in tutta la provincia e soprattutto nelle zone più lontane.

Per concludere, è necessario riprogrammare l’offerta dei servizi: ‘incontrare’ i bisogni reali, mapparli, analizzarli e progettare risposte che tengano conto dell’individuo inteso come unico e irripetibile, della sua storia, della sua progettualità di vita, in una dimensione sociale e comunitaria.

La politica può molto, ma deve prima di tutto recuperare il coraggio di fare ‘la cosa giusta’ e non quella più facile, veloce, conveniente. I cambi di approccio e metodo richiedono coraggio e tempo, ma non vedo alternative, per il bene dei lombardi, soprattutto delle persone più fragili e bisognose di prossimità da parte di chi è impegnato nelle istituzioni.

È ora di riprendere in mano le redini del nostro destino e con il voto del prossimo 12 e 13 febbraio possiamo farlo.

L’Eco di Bergamo, lunedì 16 gennaio 2023

Torna su